I disturbi alla tiroide sono molto frequenti: in Italia ne soffrono circa 6 milioni di persone, donne in prevalenza (fonte: ministero della Salute). In genere, i disturbi della tiroide sono facilmente gestibili con terapie ad hoc, ma questa ghiandola a volte viene un po’ trascurata. Al contrario, un controllo periodico sarebbe auspicabile, soprattutto in vista di una gravidanza, un momento in cui la sua salute è fondamentale. Nell’ambulatorio di Endocrinologia di Mya Salute è possibile effettuare visite accurate.

La tiroide è molto importante già in fase di concepimento perché è legata a filo doppio con la fertilità di una donna e, di conseguenza, con la sua possibilità di avere un bambino. Alcune disfunzioni tiroidee rendono più difficile la realizzazione del desiderio di maternità e vanno quindi monitorate e curate. Durante la gravidanza, gli ormoni tiroidei regolano i meccanismi di impianto dell’embrione e svolgono un ruolo basilare per lo sviluppo del cervello del bambino, che non è ancora in grado di produrli da solo.

Qui vogliamo parlare del disturbo più comune delle donne gravide: l’ipotiroidismo.

Cos’è l’ipotiroidismo, come si manifesta e come si cura

L’ipotiroidismo è una condizione in cui la tiroide funziona meno del necessario, e quindi non è in grado di produrre una sufficiente quantità di ormoni tiroidei, chiamati trioiodiotironina (o T3) e tiroxina o (T4).

A seguito di questo deficit, anche quando la concentrazione nel sangue di T3 e T4 è normale, l’ipofisi produce una maggiore quantità di ormone tireostimolante o TSH, per cui l’esame che meglio identifica l’ipotiroidismo è il dosaggio del TSH nel sangue: se il TSH risulta elevato, è molto probabile che siamo di fronte ad una condizione di ipotiroidismo.

L’ipotiroidismo è la disfunzione tiroidea più frequente: ne soffre circa una donna su 25 in età fertile ed è ancora più frequente in età più avanzata.

L’ipotiroidismo può provocare molti disturbi: faticabilità, debolezza, intolleranza al freddo, dolori muscolari e crampi, stitichezza, aumento di peso, gonfiore (soprattutto al volto ed alle palpebre), difficoltà a perdere peso mentre si segue una dieta, cute secca, perdita di capelli, voce roca, irregolarità mestruali, umore depresso, perdita della memoria, rallentamento dell’attività mentale. 

Tuttavia, molte donne con ipotiroidismo possono anche non lamentare alcun disturbo.

Inoltre, se non adeguatamente trattato, l’ipotiroidismo può aumentare il rischio di infarto miocardico e di scompenso cardiaco, peggiorare la funzione renale ed i valori glicemici, accrescere il rischio di disfunzione cognitiva. Nei bambini, diminuisce il quoziente intellettivo, rallenta la crescita e provoca obesità.

L’ipotiroidismo in gravidanza: perché è importante

La tiroide influenza direttamente l’ovulazione attraverso diversi meccanismi: la carenza di ormoni tiroidei rende meno agevole la maturazione del follicolo ovarico e provoca aumento dell’azione degli ormoni maschili sull’ovaio; entrambi i meccanismi ostacolano l’ovulazione e, dunque, la fertilità delle donne ipotiroidee.

Inoltre, una tiroide materna ben funzionante è una condizione indispensabile per preparare l’endometrio ad accogliere il trofoblasto, per lo sviluppo iniziale della placenta e, dunque, per l’impianto dell’embrione.

Successivamente, gli ormoni tiroidei sono fondamentali per lo sviluppo dell’embrione e soprattutto del cervello del futuro bambino. Tuttavia, l’embrione non è in grado di produrre ormoni tiroidei perché la tiroide completa il suo sviluppo verso la 10°-12° settimana di vita intrauterina ed inizia a produrre ormoni tiroidei verso la 16° settimana: fino a quel momento, il futuro bambino dipende completamente dalla tiroide materna che deve rifornirlo attraverso la placenta.

Tali premesse ci fanno ben comprendere perché l’ipotiroidismo, nelle forme più severe, possa provocare:

  • riduzione della fertilità;
  • aumento del rischio di aborto spontaneo (soprattutto nel primo trimestre), morte endouterina fetale, pre-eclampsia, diabete gestazionale, parto pretermine;
  • riduzione del quoziente intellettivo e disturbi neurologici nei figli, che in condizioni di estrema carenza iodica possono addirittura sviluppare un grave deficit intellettivo, il cosiddetto cretinismo.

Per tale ragione, alcune società scientifiche raccomandano il dosaggio del TSH, nel momento in cui viene accertata la gravidanza, così da identificare precocemente le donne ipotiroidee ed eventualmente trattarle in modo adeguato.

Le cause dell’ipotiroidismo in gravidanza

Poiché per la sintesi degli ormoni tiroidei è necessario un sufficiente apporto di iodio e la donna incinta deve fornire ormoni tiroidei al nascituro, il fabbisogno quotidiano di iodio durante la gravidanza e l’allattamento aumenta fino a circa a circa 250 microgrammi al giorno. 

Lo iodio è contenuto nei pesci di mare e nei crostacei e, in minor misura, nelle uova, nella carne e nel latte; i vegetali e la frutta contengono concentrazioni di iodio più basse e comunque variabili a seconda della ricchezza di iodio nel terreno. Alcune aree geografiche sono particolarmente povere di iodio e, quindi, le donne gravide non riescono ad assumerne abbastanza, determinando ipotiroidismo. Per tale ragione, soprattutto in aree a carenza iodica, è necessario supplementare l’apporto di iodio con degli integratori che ne contengano una sufficiente quantità, anche prima del concepimento, durante la gravidanza ed in allattamento.

In Italia, la causa più frequente di ipotiroidismo, sia nelle donne gravide che in quelle che non lo sono, è un processo autoimmune che colpisce la tiroide, la cosiddetta tiroidite cronica autoimmune, spesso chiamata anche tiroidite di Hashimoto. Si stima che una futura mamma su sei possa presentare autoimmunità tiroidea prima. La presenza di autoimmunità tiroidea può essere identificata attraverso il dosaggio, nel sangue, degli anticorpi anti-tireoperossidasi (AbTPO) e/o degli anticorpi anti-tireoglobulina (AbTG), o attraverso il riscontro del caratteristico aspetto ecografico della tiroide (la cosiddetta “disomogeneità diffusa”, spesso con “ipoecogenicità”).

L’autoimmunità tiroidea è molto importante in gravidanza, perché implica una ridotta riserva funzionale tiroidea, che può essere inadeguata a supportare la gestazione stessa, durante la quale è invece presente un’aumentata richiesta di ormone tiroideo, sin dai primissimi momenti successivi al concepimento. Inoltre, le donne con autoimmunità tiroidea possono presentare varie altre condizioni autoimmuni, come ad esempio alcuni anticorpi che favoriscono la trombosi placentare. Ecco perché, anche nei casi in cui l’autoimmunità non abbia determinato ipotiroidismo prima della gravidanza, essa può favorire un aumento del rischio di ipofertilità, di aborto spontaneo e di parto pretermine

Quando e come trattare l’ipotiroidismo in gravidanza

Sarebbe utile assicurare una condizione di eutiroidismo (cioè di normale funzione tiroidea) prima del concepimento. Al fine di ridurre il tasso di eventi avversi associati ad una condizione di ipotiroidismo è necessario che il valore di TSH sia mantenuto al di sotto di un determinato limite. Secondo alcune linee guida sarebbe auspicabile mantenere il livello del TSH entro 2.5 mIU/L, anche prima del concepimento, e soprattutto se sono presenti anticorpi contro la tiroide e/o se la donna deve andare incontro a tecniche di procreazione medicalmente assistita. Secondo altre linee guida, questo limite è pari a 4.0 mIU/L. Infatti, una concentrazione più elevata indica la possibilità di una carente concentrazione di T3 e T4 nell’embrione e nel feto.

Il trattamento per l’ipotiroidismo va effettuato somministrando la tiroxina per via orale, di solito la mattina a digiuno, in forma di compresse (meglio se almeno un’ora prima di colazione), o di soluzione orale o capsule di softgel (entrambe le preparazioni sono ben assorbite anche poco prima della colazione).

A differenza della maggior parte dei farmaci, la tiroxina somministrata è identica a quella prodotta dalla tiroide e, quindi, si tratta di una sostanza già presente nell’organismo delle donne gravide. Ciò rassicura molto sull’impiego in gravidanza, ma è di importanza fondamentale somministrarne la giusta quantità: una quantità inferiore a quanto necessario può essere inefficace, mentre una quantità eccessiva può essere tossica.

Nelle donne con ipotiroidismo già noto prima della gravidanza si aumenta (rapidamente o gradualmente, a seconda dei casi) del 30-50% la dose già somministrata prima della gravidanza ed il giorno dopo il parto si torna a somministrare la dose pre-gravidica.

Nelle donne in cui l’ipotiroidismo è diagnosticato in gravidanza bisogna somministrare un dosaggio “pieno” senza esitazioni, perché è necessario normalizzare il più rapidamente possibile la concentrazione degli ormoni tiroidei, che viene attestata dalla normalizzazione del TSH.

In conclusione, un trattamento con tiroxina tempestivo e con le dosi appropriate è sicuro ed efficace nell’aumentare le probabilità di una gravidanza a termine, garantendo la salute del nascituro, oltre che della madre.