ozonoterapia

Ozonoterapia, tutti i benefici

Tra i trattamenti offerti dalla clinica Mya Salute, spicca l’ozonoterapia. La procedura consiste in infiltrazioni di un mix composto da ossigeno e ozono che hanno un vastissimo campo di applicazione, non soltanto nella terapia del dolore, con risultati molto interessanti. Le proprietà dell’ozono sono conosciute fin dall’antichità e, soprattutto all’inizio, è stato impiegato per le sue capacità disinfettanti. 

I benefici dell’ozonoterapia sono tantissimi, non a caso questa tecnica è apprezzata per la sua versatilità sia in campo medico che estetico.

Difatti è largamente impiegata per guarire problemi di natura articolare ma anche per migliorare l’aspetto della pelle, per ridurre le infiammazioni e anche per il dimagrimento. Il trattamento non è invasivo e non comporta controindicazioni, salvo particolarissimi casi. Ecco quindi tutto quello che c’è da sapere sull’ozonoterapia, su come funziona e su quali sono i benefici.

Ossigeno-Ozonoterapia: cos’è

Prima di capire quali sono i benefici dell’ozonoterapia vediamo brevemente come funziona.

Viene spesso definita come una pratica di medicina complementare e consiste in una miscela di ossigeno e ozono che viene applicata, tramite apposita strumentazione, direttamente sulla zona da trattare. Sostanzialmente è un metodo curativo che, attraverso la somministrazione di questa miscela, sfrutta le interessanti proprietà biochimiche dell’ozono. Questo si scompone in ossigeno e va a legarsi alle molecole del sangue.

L’impiego e i risvolti di questa terapia dipendono dalla zona da trattare e li vediamo qui di seguito.

Ozonoterapia: a cosa serve

Molto sinteticamente l’ozonoterapia serve a favorire la guarigione tramite l’ossigenazione cellulare che, tra le altre conseguenze, provoca un rilassamento muscolare e la riduzione del dolore. 

Difatti è stato dimostrato come l’ozonoterapia abbia effetti antivirali e antifungini oltre ad effettuare un’azione antibatterica, antinfiammatoria e antiossidante. A questi effetti si aggiunge la rigenerazione osteoarticolare, immunitaria e circolatoria.

Non è una terapia palliativa ma una vera e propria pratica riconosciuta dal ministero della Salute.

Quindi oramai è una pratica più che consolidata e che offre risultati notevoli in tantissimi campi di applicazione. Attualmente è ampiamente impiegata per lenire i disagi dei pazienti affetti da ernia del disco, protusioni discali, artrite, artrosi, reumatismi, dolori cronici articolari e muscolari.

Altri effetti positivi dell’ozonoterapia

Tra i benefici dell’ozonoterapia bisogna menzionare anche che è il trattamento ideale per risolvere i problemi di eczema e acne oppure per cellulite, gonfiore delle gambe e cefalea.

Provoca sollievo ai dolori lombari e cervicali cronici e ai disagi post operatori.

Si utilizza per trattare l’insufficienza venosa, la colite, l’ulcera e persino la stitichezza.

Infine è ideale per il trattamento antiage di rughe del volto e per tonificare la pelle e renderla più elastica e sana.

Altre informazioni utili sui benefici dell’ozonoterapia

Molti pazienti spesso si chiedono se l'ozonoterapia sia dolorosa, dato che prevede l’utilizzo di un piccolo ago tramite cui iniettare la miscela. Non lo è affatto perché, al massimo, può provocare qualche piccolo fastidio dopo il trattamento. Difatti si può praticare anche su zone molto delicate, come nei casi di ozonoterapia per gli occhi.

Il punto è che l’ozono è già presente nel nostro fisico, per cui non ci sono reazioni gravi o problemi correlati rilevanti.

Ovviamente potrebbero esserci specifici casi in cui è sconsigliata ma sono rarissimi e riguardano le donne in dolce attesa o particolari tipologie di pazienti (ad esempio, soggetti con ipoglicemia o ipertiroidismo).

Per questo non esistono particolari complicanze per l'ozonoterapia, né tantomeno è necessario un periodo di convalescenza dopo essersi sottoposti al trattamento.

 


ernia del disco

Ernia del disco: sintomi e cure

Il disco intervertebrale, “ammortizzatore naturale” posto tra due vertebre, ha la funzione di ridurre il carico biomeccanico esercitato tra i corpi vertebrali stessi rispettando l’armonia della colonna vertebrale in toto. La sua presenza aiuta le vertebre a curvarsi in tutti i sensi ed eseguire movimenti di rotazione (funzione che avviene in armonia con le componenti articolari, ossee e legamentose). È costituito dal nucleo (porzione centrale) e dall’anulus (porzione esterna).

Con il passare degli anni i dischi, essendo a principale contenuto acquoso, possono andare incontro a fenomeni di disidratazione con conseguente degenerazione, assottigliamento e totale riassorbimento con conseguente perdita della loro capacità di ammortizzazione ed eventualmente a fenomeni di rottura che possono causare la comparsa di mal di schiena e/o di disturbi della funzione neurologica sia essi transitori o permanenti.

Cosa è l’ernia del disco?

Per erniazione si intende la fuoriuscita di un contenuto dal proprio spazio naturale. Quindi per ernia del disco intendiamo una fuoriuscita del nucleo attraverso una rottura dell’anulus. Questo comporta un contatto meccanico/compressione sulle strutture del canale rachideo dove all’interno troviamo il midollo spinale (cauda equina nel suo tratto lombare). Le ernie sono classificate per sede, indicando i due corpi vertebrali attigui (esempio L1-L2), per posizione sul piano assiale (mediane, paramediane, laterali, intraforaminali, extraforaminali) e in rapporto al grado di fuoriuscita del nucleo (ernia contenuta, protrusa, espulsa e/o migrata).

Quali sono i sintomi dell’ernia del disco?

Tale contatto può generare infiammazione, quindi irritazione, delle strutture nervose con comparsa di dolore locale o irradiato agli arti (in base alla sede), riduzione della sensibilità e/o formicolio oltre che debolezza muscolare fino alla perdita della forza nei movimenti fini o più complessi. In alcuni casi può comportare alterazioni del controllo degli sfinteri e/o turbe della sfera sessuale.

Come si riscontra un’ernia del disco?

La diagnosi avviene in genere attraverso una visita medica specialistica neurochirurgica, durante la quale il medico valuta il grado di deficienza muscolare, i disturbi sensitivi e le alterazioni dello stato neurologico mediante una visita medica specifica. 

Una volta posto il sospetto clinico di ernia discale lo specialista indirizza gli esami diagnostici al fine di escludere o confermare il sospetto clinico. (ad esempio, risonanza magnetica, tomografia computerizzata, esami elettrofisiologici, radiografia dinamica del rachide, ecc.).

Al centro Mya Salute il paziente viene preso in carico da un'équipe multidisciplinare in grado di affrontare il problema a tutto tondo.

Si può guarire dall’ernia del disco senza intervento?

L’erniazione del disco, che non causa compromissioni del nervo compresso,  generalmente migliora con il trattamento conservativo e non sempre è necessario ricorrere ad un intervento chirurgico. Il paziente può ottenere un enorme beneficio dal riposo adeguato in associazione al trattamento antinfiammatorio idoneo e/o terapia del dolore. Una volta terminato il ciclo terapeutico, grazie al trattamento fisioterapico si può assistere ad una completa guarigione.

Quando un’ernia del disco necessita di essere asportata chirurgicamente?

Nel momento in cui il trattamento medico dovesse fallire e il paziente divenga resistente a qualsiasi farmaco (sia esso somministrato per via sistemica che per via infiltrativa) si potrebbe prendere in considerazione l’asportazione chirurgica dell’ernia. Una volta trattata, in generale si assiste a un miglioramento del quadro neurologico all’ingresso. Nei casi più complessi il trattamento riabilitativo post-operatorio permette il completo recupero funzionale. 

Che rischi si corrono con l’intervento?

La principale complicanza è la persistenza del dolore nella sede del trattamento chirurgico. Generalmente regredisce con il passare dei giorni. Con meno frequenza si può assistere ad altre complicazioni meno comuni come le infezioni, la discite, le lesioni durali, le recidive di ernia discale, il danno alle strutture nervose, l'instabilità rachidea iatrogena. Sono davvero rari i problemi a livello vascolare, agli sfinteri o della sfera sessuale acquisiti dopo l’intervento chirurgico.


cuffia dei rotatori

Cuffia dei rotatori: quando serve una visita

La cuffia dei rotatori è l’insieme dei tendini (sovraspinato, infraspinato, piccolo rotondo e sottoscapolare) che rivestono la testa dell’omero e permettono alla spalla di muoversi. La lesione di uno o più di questi tendini crea uno squilibrio nella spalla che si manifesta con uno o più di questi sintomi: dolore (spesso notturno con disturbo del sonno), limitazione del movimento e deficit di forza.

La lesione può essere causata da un trauma ad alta energia (ad esempio, una caduta sulla spalla), ma anche da un trauma minore (a volte neanche notato dal paziente) nel caso di un tendine già deteriorato. Il tendine si deteriora con il passare degli anni e in seguito a sovraccarichi come negli atleti e nei lavoratori manuali.

La riparazione dei tendini è finalizzata al recupero della forza e del movimento e alla scomparsa del dolore; si esegue in artroscopia (piccoli fori cutanei da cui si introducono la telecamera e gli strumenti di lavoro) e, in mani esperte, 30/45 minuti in base alla complessità della lesione e a gesti chirurgici associati per ottimizzare il risultato.

Dall’immediato postoperatorio è possibile muovere il gomito, il polso e la mano; la spalla resta a riposo con un tutore (anche la notte) per circa 3 settimane. Superato questo periodo, il paziente inizia la fisioterapia che dura da 20 giorni a 2 mesi. È consigliabile evitare sforzi e sport da contatto per i primi 3 mesi.

Purtroppo non sempre è possibile riparare i tendini della cuffia dei rotatori. I limiti alla riparazione sono determinati dalla qualità e quantità residua del tendine da riparare e dal tempo intercorso dal momento in cui si crea la lesione e la riparazione. È per questo importantissimo fare una diagnosi precoce (visita ortopedica e risonanza magnetica) e una riparazione in tempi brevi.

Quando i tendini non sono più riparabili è comunque possibile aiutare il paziente utilizzando altre tecniche che prevedono ad esempio l’impianto di membrane sostitutive o il trapianto di muscoli e tendini del paziente stesso. Queste procedure possono essere eseguite completamente in artroscopia o con l’aiuto di una incisione cutanea nella zona di prelievo del tendine (poi fissato nella spalla artroscopicamente).

Nei casi in cui la lesione non riparabile del tendine è associata ad artrosi della spalla l’unico trattamento possibile è la protesi. Esiste una protesi specifica per queste situazioni che si chiama INVERSA e che permette alla spalla di funzionare anche senza i tendini della cuffia dei rotatori. 


osteoporosi

Osteoporosi, la malattia delle ossa fragili

L’osteoporosi è una malattia sistemica dello scheletro caratterizzata da una riduzione della massa ossea e da alterazioni qualitative tali da provocare un aumento della fragilità ossea e del rischio di frattura. In Italia, si ritiene vi siano oggi circa 3,5 milioni di donne ed un milione di uomini affetti da osteoporosi e, poiché nei prossimi 20 anni la percentuale della popolazione italiana al di sopra dei 65 anni d’età aumenterà del 25%, ci dovremo attendere un proporzionale incremento dell’incidenza dell’osteoporosi. 

All'interno di Mya Salute l'approccio che viene dedicato a questa patologia è assolutamente multidisciplinare per poter dare risposte concrete ed efficaci a ciascun paziente.

Forme di osteoporosi

Esistono due forme di malattia: 

  1. le osteoporosi primitive che includono le varietà giovanile, post-menopausale e senile;
  2. le osteoporosi secondarie causate da un ampio numero di patologie e di farmaci. 

L’osteoporosi giovanile è quella che si riscontra già in età infantile e adolescenziale ed è dovuta per lo più a mutazioni genetiche che conducono ad una compromissione della resistenza ossea (ad esempio, l’osteogenesi imperfetta). L’osteoporosi post-menopausale è la più frequente forma di osteoporosi primitiva ed è dovuta al deficit estrogenico legato alla menopausa che determina un’accelerazione della perdita ossea dovuta all’età. 

Tra le osteoporosi secondarie si annoverano quelle correlate a patologie endocrinologiche (iperparatiroidismo, tireotossicosi, diabete mellito, ipercorticosurrenalismo), ematologiche (mieloma multiplo, leucemia), gastroenterologiche (morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa, celiachia), malattie reumatologiche (artrite reumatoide, spondilite anchilosante, artrite psoriasica), renali (insufficienza renale cronica, ipercalciuria idiopatica), altre patologie (sclerosi multipla, malattia di Parkinson, BPCO). 

L’assunzione cronica di alcune categorie di farmaci quali corticosteroidi, levotiroxina a dosi soppressive, anticonvulsivanti, antidepressivi, possono condurre a osteoporosi secondaria.

Le fratture osteoporotiche possono presentarsi in quasi tutti i segmenti scheletrici, ma sedi preferenziali sono il corpo vertebrale, l’estremo prossimale del femore e dell’omero e l’estremo distale del radio. Il trauma da caduta è la causa di gran lunga più frequente nelle fratture che colpiscono le ossa dello scheletro appendicolare (femore, omero, polso), mentre nelle fratture da fragilità del corpo vertebrale, spesso non diagnosticate, è più difficile determinare il momento causale.

Diagnosi

La diagnosi di osteoporosi e del rischio di fratture da fragilità si basa sull’anamnesi, l’esame obiettivo, gli esami strumentali e gli esami di laboratorio (ematici e urinari). L’anamnesi prevede la raccolta di informazioni sulla storia clinica del paziente, sullo stile di vita e sulla corretta valutazione dei fattori di rischio (familiarità, età, abuso alcolico, fumo, eccessiva magrezza, malnutrizione, inadeguato introito di calcio e vitamina D). L’esame obiettivo deve valutare la postura del paziente ed in particolare se si è verificato un aumento della cifosi dorsale e/o una riduzione dell’altezza che potrebbero indicare la presenza di uno o più cedimenti vertebrali. L’esame strumentale specifico per misurare la massa ossea è la densitometria a raggi x (DXA) o MOC (mineralometria computerizzata ossea). La radiografia del rachide dorsale e lombosacrale associata alla morfometria vertebrale permette l’identificazione e la corretta classificazione dei crolli vertebrali. 

Trattamento

Le fratture da fragilità possono causare disabilità complessa, significativa morbilità, riduzione della qualità di vita e limitazione funzionale. Il paziente con osteoporosi necessita di una presa in carico globale, con un intervento multi ed interdisciplinare da svolgersi in team (fisiatra, fisioterapista, endocrinologo, ginecologo, nutrizionista) e con un progetto riabilitativo individuale costituito da programmi orientati ad aree specifiche di intervento. La gestione dell’osteoporosi prevede interventi farmacologici (bifosfonati, vitamina D, calcio) e non farmacologici (dieta alimentare e attività fisica adattata). In accordo alle evidenze scientifiche, l’attività fisica, in particolare esercizi personalizzati di rinforzo muscolare, di rieducazione all’equilibrio e della deambulazione, hanno un impatto assolutamente positivo sull’efficienza osteo-artro-muscolare.  


artrosi

Artrosi: patologia complessa da curare "insieme"

La patologia osteoartrosica rappresenta una delle più frequenti cause di dolore e di disabilità nell’adulto. Si manifesta con sintomi in circa un soggetto su 3 oltre i 65 anni di età (Osteoarthritis Research Society International) ma, in almeno la metà dei casi, è possibile riscontrarla radiologicamente prima che compaiano i sintomi.

L’artrosi è una patologia complessa che interessa diverse strutture (non solo le ossa!) e che richiede, proprio per la sua complessità, un approccio combinato e multimodale.

Parecchi sono i fattori di rischio: età avanzata, sesso femminile, obesità, storia familiare. A questi si associano fattori meccanici locali (patologie di ossa, muscoli e legamenti; traumi; attività lavorative e sportive).

Si manifesta tipicamente con dolore e difficoltà a compiere i movimenti. Il dolore artrosico è caratteristico dell’inizio del movimento: rialzarsi dopo aver mantenuto una posizione seduta spesso è reso difficoltoso, anche nei primi passi, dai classici segni dell’artrosi di ginocchio e di anca.

Definire l’artrosi come una patologia da “invecchiamento dell’osso” è ormai errato. Le ultime conoscenze, stimolate dallo sviluppo di esami radiologici sempre più accurati, consentono di identificare la patologia artrosica ai primi stadi e in soggetti giovani.

Le sofferenze di osso, cartilagine, menischi, legamenti e muscoli secondarie a “overuse” o a “errato uso” o ancora a “non uso” sono alla base di una più ampia concezione della patologia artrosica di quanto non si pensasse fino ad alcuni anni fa.

L’approccio terapeutico non può, quindi, che essere:

  • precoce.
  • Multifattoriale/multispecialistico.
  • Condiviso.

I primi stadi del processo artrosico sono suscettibili dei migliori successi terapeutici. Identificare la patologia ai primi segni consente di offrire maggiore spazio alla prevenzione della progressione. Purtroppo oggi questi stadi si manifestano già in soggetti giovani (30-40 anni di età).

Parecchie sono le opzioni terapeutiche che, in un modello di cura sempre più “tailor made” (come un abito cucito su misura), richiede una combinazione personalizzata di approcci curativi/preventivi.

È per questi motivi che Mya Salute ha scelto di ospitare il “Centro di Diagnosi e cura dell’Artrosi”, un team di professionisti che, in sinergia, offre le proprie competenze per una corretta gestione, esaustiva, della patologia artrosica.

Il fisiatra ha il ruolo di iniziare il processo diagnostico. La visita medica è sempre il primo passo per un processo che porti alla diagnosi della patologia. L’ausilio del radiologo consente di “misurare” e valutare, con gli idonei esami diagnostici, i segni della patologia. L’ambulatorio di fisiatria interventistica offre la possibilità di ricorrere a procedure mini-invasive per la gestione del dolore e del danno articolare/cartilagineo. Tecniche infiltrative ecoguidate con l’ausilio di acidi ialuronici, PRP e cellule mesenchimali possono rappresentare, in alcuni casi, un valido e aggiornato supporto al percorso di gestione della patologia artrosica. 

Il team dei fisioterapisti, insieme ai chinesiologi, consente una gestione combinata di terapie fisiche (per esempio laser, diatermia, magnetoterapia), terapie manuali ed esercizio terapeutico e preventivo. L’ausilio del tecnico ortopedico, del nutrizionista e del laboratorio di analisi consente al Centro di offrire una gestione completa della patologia, così come richiesto in una gestione multidisciplinare.

La presenza di validi specialisti in ortopedia consente una gestione combinata anche dei pazienti che necessitano dell’approccio chirurgico perché in fasi avanzate. Anche in questi casi la riabilitazione supporta e completa il percorso di cura, che si considera concluso in assenza di dolore e con la massima funzionalità possibile.

Tutto ciò, tuttavia, deve essere sempre accompagnato da una “condivisione” con il paziente dell’iter di diagnosi e di cura. La gestione della patologia artrosica richiede una buona collaborazione del paziente (spesso è sufficiente modificare alcuni stili di vita per ottenere dei buoni risultati!) e solo un paziente correttamente informato può collaborare al trattamento.


La patologia benigna della mammella

La patologia benigna della mammella comprende un ampio gruppo di lesioni rappresentate da anomalie della proliferazione epiteliale, anomalie del parenchima e affezioni infiammatorie. Si manifestano spesso come tumefazioni di nuova insorgenza determinando ansia e preoccupazione nella paziente. Generalmente il dolore è presente solo nelle affezioni infiammatorie. 

Le cisti mammarie 

Sono strutture a contenuto liquido che originano dall’epitelio del lobulo ghiandolare. Di forma rotonda oppure ovoidale, nella maggior parte dei casi sono rilevabili solo con esami strumentali. A volte possono assumere un volume tale da essere apprezzate alla palpazione. 

Spesso sono gli stimoli ormonali a provocare la comparsa o l’aumento di tali formazioni. L’esame clinico (ispezione-palpazione) non consente da solo la diagnosi di certezza, ma con l’ausilio delle metodiche strumentali, specie l’ecografia, non è difficile distinguerle dalle masse solide. 

Trattandosi di una lesione assolutamente benigna, solitamente la cisti mammaria non necessita di trattamenti. Nel caso di cisti voluminose che provocano ansia o fastidi nella paziente, si ricorrere all’aspirazione, preferibilmente ecoguidata, del loro contenuto. 

Il fibroadenoma (FAD)

È una delle lesioni di più frequente riscontro nella mammella. In genere, è una malattia del periodo riproduttivo con un picco di incidenza tra i 15 e i 30 anni. È una lesione ormono-dipendente. Una correlazione diretta si è riscontrata tra l’insorgenza del FAD e l’uso del contraccettivo orale prima dei 20 anni. 

Sia per questa ragione, sia anche per la presenza, di solito, di una minore quota di tessuto ghiandolare in età più avanzata, raramente i fibroadenomi si manifestano dopo la menopausa. 

Il fibroadenoma si presenta generalmente sotto forma di nodulo ovale, a superficie liscia, mobile (tende a scappare sotto le dita). La diagnosi si avvale delle metodiche strumentali (ecografia-mammografia). Solo i casi che insorgono in pazienti in età più avanzata o quelli in cui la lesione pone qualche sospetto diagnostico, si ricorre alla biopsia ecoguidata. 

Nel caso di fibroadenomi di piccole dimensioni senza tendenza all’aumento volumetrico, si può adottare un atteggiamento di controllo. Nel caso di lesioni che presentano spiccato trend di aumento è indicata l’asportazione chirurgica. 

La mastite

È l’ infiammazione di tutto o di una parte del parenchima di una mammella ed è sostenuta da una proliferazione batterica. Il corteo sintomatologico è quello tipico dei processi infiammatori: tumefazione ricoperta da cute arrossata, calda e dolente. 

Abitualmente le mastiti si distinguono in puerperali (dovute alla penetrazioni di batteri attraverso il capezzolo durante la suzione del neonato) e in non puerperali, nelle quali la penetrazione batterica può avvenire sempre attraverso il capezzolo o nei casi di ectasia duttale (dilatazione dei dotti galattofori) o tramite piccole soluzioni di continuo della cute mammaria. 

La diagnosi è prevalentemente clinica, cioè legata alla visita della paziente. Anche in questo caso per la conferma ci si avvale delle comuni metodiche strumentali, ecografia e mammografia. Raramente è necessaria una biopsia per la diagnosi differenziale con la mastite carcinomatosa. 

Nella mastite puerperale la terapia consiste nella sospensione dell’allattamento con somministrazione di farmaci a base di cabergolina e, in tutti i casi, nella somministrazione di antibiotici ad ampio spettro o mirati nel caso di secrezione dal capezzolo (esame colturale con antibiogramma) e di antinfiammatori. 

La displasia mammaria

È una affezione benigna del seno che non ha alcuna analogia con il tumore ma che può destare preoccupazione nella donna fino al momento della diagnosi. 

Interessa prevalentemente donne di età fra i 30 e i 50 anni. La più comune forma di displasia è la mastopatia fibrocistica. Questa è caratterizzata dalla presenza nel tessuto mammario di zone di fibrosi con possibile riscontro di aree nodulari apprezzabili alla palpazione. Il sintomo più frequente che accompagna tale condizione è il senso di tensione al seno e il dolore accentuati nel periodo premestruale. 

Non sono ancora certe le cause di tale quadro. Tuttavia è noto che l’insorgenza è correlata a variazioni dell’equilibrio ormonale, in particolare a cambiamenti del rapporto estro-progestinici a favore degli estrogeni. È più frequente nelle donne che non hanno avuto gravidanze e sono più predisposti i soggetti con irregolarità del ciclo mestruale. 

Come per le altre patologie mammarie, la diagnosi si avvale dell’ecografia e della mammografia. Raramente è necessario ricorrere al prelievo bioptico. 

Non è necessaria, generalmente una terapia per tale affezione. Nel caso di sintomatologia dolorosa intensa si può assumere un analgesico durante il periodo mestruale. Può essere utile l’applicazione di prodotti topici (gel, creme). 

Pur essendo una patologia benigna, la displasia mammaria non deve essere trascurata considerando che essa rende meno facile il riconoscimento di lesioni preneoplastiche o francamente tumorali e richiede un atteggiamento di sorveglianza particolarmente attento. 


lombalgia

Lombalgia: cause e cura del mal di schiena

Il mal di schiena è un disturbo tanto comune quanto invalidante. Chi ne soffre può trovare centro Mya Salute un aiuto concreto per superare il dolore e il disagio ad esso correlato grazie al servizio di Fisioterapia.

Cos’è la lombalgia

È il più classico dei mal di schiena. La lombalgia è caratterizzata da una sintomatologia dolorosa che interessa il tratto lombare della colonna vertebrale. Il dolore lombare può insorgere all’improvviso o in modo lento e progressivo. Colpisce tutte le fasce d’età, anche se l’incidenza è massima tra gli adulti, senza differenze significative tra i due sessi. Seconde le statistiche, circa l’80% della popolazione ne ha sofferto almeno una volta nella vita.

Quali sono i sintomi della lombalgia

Il sintomo primario della lombalgia è il dolore, che spesso è il principale motivo che spinge il paziente a rivolgersi al medico per una cura. Nelle forme acute, può essere molto intenso e spesso si associa ad un'impotenza funzionale, cioè la difficoltà nello svolgere le normali attività quotidiane. Nelle forme croniche, il dolore è sordo e costante. 

È localizzato soprattutto nella regione lombosacrale, ma può talora raggiungere i glutei. In questo caso si parla di lombosciatalgia o sciatalgia, in cui l’interessamento del nervo sciatico determina un dolore che, dalla regione lombosacrale, si irradia alla parte posteriore della coscia e scende fino al polpaccio e al piede. La sintomatologia dolorosa è acuita dagli spostamenti e dai cambiamenti di posizione.

Cosa fare in caso di lombalgia

Il termine lombalgia è aspecifico, in quanto il dolore lombare può essere espressione di diverse patologie e disfunzioni di origine vertebrale o extra-vertebrale. Per questo motivo, il primo passo per curare il mal di schiena è sicuramente sottoporsi ad una visita medica, fisiatrica o ortopedica. 

Le cause del problema possono essere molteplici. Fare un’esatta diagnosi è quindi necessario per determinare la causa primaria e/o escludere patologie secondarie, come neoplasie, infezioni, malattie metaboliche o reumatiche, al fine di stabilire il corretto ed idoneo percorso terapeutico.

Quali sono i trattamenti per la lombalgia

Stabilita la diagnosi, il medico sarà affiancato e supportato dal fisioterapista che, attraverso una valutazione funzionale, esaminerà nello specifico il sistema osteo-articolare, mio-tendineo e le sue relazioni con i visceri e il sistema cranio-sacrale. In ogni caso, medico e fisioterapista interverranno per ridurre il più possibile il riposo a letto e il ricorso ai farmaci.

Il trattamento del mal di schiena non è standardizzato. In base alla severità della sintomatologia algica del paziente, al coinvolgimento delle strutture articolari, dei vasi e dei nervi, all’età del paziente e alle sue condizioni generali di salute, saranno intrapresi percorsi terapeutici diversi sempre altamente personalizzati.

Quando la lombalgia è espressione di una disfunzione meccanica della colonna vertebrale, la terapia manuale si rivela un valido strumento nel miglioramento delle rigidità o della perdita di mobilità articolare, nella diminuzione delle tensioni del sistema fasciale, ecc. Al trattamento manuale, possono essere associate terapie fisiche, come la tecar terapia e la laser terapia, che hanno un effetto antalgico, mio-rilassante e biostimolante dei tessuti. Naturalmente, intervenire precocemente può rivelarsi molto utile nella risoluzione del problema.

Attraverso le tecniche di biomeccanica cranio-sacrale, si potranno trattare le restrizioni di motilità che interessano le meningi spinale e cranica, molto colpite nei traumi di varia origine, ad esempio i colpi di frusta. 

Una volta superata la fase acuta del dolore, inizierà quella educativa del paziente, durante la quale il fisioterapista insegnerà come autogestire il proprio corpo nelle attività della vita quotidiana, nella pratica sportiva e nel lavoro. La biomeccanica della colonna vertebrale soffre spesso a causa di posture errate e sovraccarichi, che instaurano tensioni nel tessuto fasciale e restrizioni di mobilità che, se persistono, possono provocare processi infiammatori.  

Attraverso la ginnastica posturale, con esercizi mirati e personalizzati, ci si occuperà del ripristino dei corretti schemi di movimento, migliorando elasticità, forza e stabilità della colonna vertebrale. Avere una “colonna in salute” allontana il pericolo di future recidive o, nei casi cronici, riduce il ricorso ai farmaci.

Nei casi più severi, il medico potrà altresì gestire la sintomatologia del paziente facendo ricorso a procedure di ozonoterapia o terapia del dolore. Si tratta di tecniche infiltrative direttamente nella colonna vertebrale. Si rivelano molto utili in caso di discopatie con erniazione, radicolopatie o di veri blocchi articolari (colpo della strega). 


malattie cardiovascolari

Malattie cardiovascolari: fattori di rischio e prevenzione

La patologie a carico del cuore e del sistema circolatorio costituiscono la prima causa di morte a livello mondiale e l’Italia rientra perfettamente in questo trend. Nel nostro Paese, nel 2015 i decessi causati da malattie cardiovascolari sono stati 239.527, cioè il 37% del totale di tutti i decessi, con una crescita dell’8,8% rispetto all’anno precedente (fonte: The European House-Ambrosetti su dati Istat 2018). 

Come ribadito da tutte le principali istituzioni sanitarie, nonché dalle Società scientifiche di tutto il mondo, quasi sempre sotto accusa ci sono gli stili di vista scorretti. Cambiare alcune abitudini nocive, come fumare o assumere cibi troppo grassi, potrebbe ridurre drasticamente l’incidenza delle patologie cardiovascolari. 

Cosa sono le malattie cardiovascolari 

Nella comune definizione, per malattie cardiovascolari si intende l’insieme delle patologie che colpiscono il cuore e i vasi sanguigni. Le più frequenti sono quelle di origine aterosclerotica, in particolare le malattie ischemiche del cuore, come l’infarto acuto del miocardio, l’angina pectoris, le cardiomiopatie, l’insufficienza cardiaca, le aritmie, le malattie cerebrovascolari, tra cui l’ictus ischemico ed emorragico. 

Alla base di queste patologie, sovente c’è un problema di aterosclerosi, che si verifica quando le pareti interne delle arterie si ispessiscono a causa dell’accumulo di lipidi e colesterolo. Questo processo è lento e non dà sintomi: nel momento in cui questi compaiono, significa che la malattia è già in uno stato avanzato. 

Quando la placca aterosclerotica diventa troppo spessa, il sangue fa fatica a defluire e può formarsi un coagulo o un trombo che blocca il flusso sanguigno. L’improvvisa ostruzione di un vaso sanguigno provoca l’infarto del miocardio se è localizzata a livello cardiaco oppure l’ictus se è localizzata a livello cerebrale. 

I numeri delle malattie cardiovascolari in Italia 

Nel corso degli anni, il numero di casi è sensibilmente cresciuto. Si è passati dai 4,2 milioni del 1990 ai circa 5,5 milioni nel 2015, con un sostanziale bilanciamento tra i due sessi. La mortalità però è scesa del 63,7% negli ultimi 40 anni.

A differenza di ciò che si potrebbe pensare, le malattie cardiovascolari fanno più vittime nel sesso femminile, rispetto a quello maschile. Sul totale di decessi, il 43% ha riguardato uomini (103.254), il 57% donne (136.273). Nei maschi le malattie ischemiche del cuore sono state la prima causa di morte sia in ambito cardiovascolare (36% dei decessi), che generale (5,8%). Nelle femmine invece la prima causa di morte sono state le malattie cerebrovascolari (28%).

Nella maggior parte dei casi (94% dei casi) i decessi per cause cardiovascolari hanno riguardato persone con un’età superiore ai 65 anni. La fetta più consistente (85%) erano over 75. Esclusa la Sardegna, le regioni meridionali (in particolare Campania e Sicilia) hanno un tasso di mortalità standardizzato per età più alto del resto del Paese.

In Italia, le malattie cardiovascolari (infarto in primis) sono anche la prima causa di ospedalizzazione. Nel 2016, hanno provocato circa un milione di ricoveri, ovvero il 14,6% del totale. 

Fattori di rischio 

Le cause che stanno alla base di un problema cardiovascolare sono molteplici. Sono riconosciuti dei fattori di rischio, suddivisi in modificabili (sui quali cioè si può intervenire per ridurre il pericolo di ammalarsi) e non modificabili (per i quali non si può fare nulla). 

Fattori di rischio modificabili:

  • Fumo: la nicotina accelera il battito cardiaco e il monossido di carbonio riduce la quantità di ossigeno nel sangue e favorisce l’aterosclerosi.
  • Ipertensione: la pressione alta fa lavorare di più il cuore e facilita la formazione di placche aterosclerotiche. 
  • Obesità e sovrappeso: aumentano il rischio di insorgenza di ipertensione, diabete, ipercolesterolemia, aterosclerosi, ipertrigliceridemia.
  • Colesterolemia totale elevata: esistono due tipi di colesterolo, uno “cattivo” (LDL) che è quello che si deposita nelle arterie, e uno “buono” (HDL) che contrasta questo processo. L’ideale è tenere il colesterolo totale sotto i 240 mg/dL e quello LDL sotto i 100 mg/dL.
  • Sedentarietà: è direttamente collegata all’aumento di peso e del rischio di ammalarsi di diabete di tipo 2.
  • Diabete: se non viene controllato, incrementa l’aterosclerosi e, di conseguenza, il rischio cardiovascolare.  

Fattori di rischio non modificabili: 

  • età: l’incidenza delle malattie cardiovascolari è direttamente proporzionale all’età. Gli anziani dunque si ammalano di più.
  • sesso: il rischio è più alto negli uomini e nelle donne in menopausa.
  • genetica/familiarità: alcune mutazioni genetiche hanno un legame con lo sviluppo di malattie cardiovascolari. Inoltre, il rischio aumenta in chi ha avuto familiari colpiti da eventi cardiovascolari in età giovanile (prima dei 55 anni per gli uomini, prima dei 65 per le donne).

Consigli per prevenire le malattie cardiovascolari 

  • Smettere di fumare: dopo pochi anni il rischio si riduce notevolmente. 
  • Curare l’alimentazione: si deve cercare di evitare l’accumulo di colesterolo nel sangue. La dieta deve essere varia, con molta frutta e verdura, cereali, legumi, pesce (in particolare quello azzurro), con poca carne rossa, pochi grassi (soprattutto di origine animale), poco sale (per non favorire l’ipertensione).
  • Svolgere attività fisica: ossigena il sangue, aumenta i livelli di colesterolo “buono”, diminuendo quello “cattivo”, fa dimagrire, rafforza il cuore e migliora la circolazione.
  • Controllare il peso: l’eccesso ponderale favorisce l’insorgenza di malattie come il diabete o l’ipercolesterolemia, che sono fattori di rischio per le malattie cardiovascolari. 
  • Verificare pressione arteriosa e colesterolo: non devono mai superare i “livelli di guardia”.

Oltre a questi consigli, una visita specialistica periodica può essere davvero utile. Prenota la tua nell'ambulatorio di Cardiologia di Mya Salute.


Prevenzione tumore al seno

Tumore al seno: l'importanza di ecografia e mammografia

Il tumore al seno è la neoplasia più frequente nelle donne. L’ennesima conferma è arrivata alla fine di settembre con l’annuale relazione “I numeri del cancro in Italia 2019”, redatta dall’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) e dall’Associazione Italiana dei Registri Tumori (Airtum). Il carcinoma mammario rappresenta infatti il 30% di tutti i tumori femminili, colpendo 1 donna su 9 nel corso della sua vita. Parola d’ordine, quindi, prevenzione.

Il tumore al seno in Italia

In linea generale, nel nostro Paese ci si ammala meno di tumore. L’incidenza di quello al seno però è in lieve aumento (+0,3%). Gli esperti spiegano che ciò è dovuto ad una maggiore adesione agli screening (che consentono quindi di fare più diagnosi) e all’estensione di questi programmi a fasce d’età più ampie. In alcune regioni, infatti, se prima lo screening veniva offerto gratuitamente alle donne tra 50 e 69 anni, ora si è passati ad una fascia d’età compresa tra 45 e 74 anni. L’incidenza è in crescita soprattutto in Sicilia, Sardegna e Campania.

Il Friuli Venezia Giulia è la regione italiana col maggior numero di casi (204 per 100.000 abitanti), mentre il tasso meno elevato si registra in Calabria (124 casi). In Emilia Romagna  ci sono le donne che sopravvivono di più dopo 5 anni dalla diagnosi di tumore al seno (89%). La mortalità è essenzialmente stabile un po’ ovunque, leggermente più bassa nel Nord Est (-0,6%). L’Emilia è la più virtuosa per adesione agli screening (77%), seguita da Toscana e Lombardia. Campania fanalino di coda: appena 21,3%.

La prevenzione del tumore al seno è fondamentale perché più precoce è la diagnosi, più alte sono le possibilità di vincere questa battaglia. Bisogna cominciare presto, sensibilizzando già le ragazze giovani a esplorare il proprio corpo, senza vergogna, in modo da capire subito se c’è qualcosa che non va. 

L’autopalpazione 

Il primo passo per imparare a conoscere il proprio seno e prendersene cura è l’autopalpazione. Il momento ideale per cominciare è a partire dai 20 anni. L’autopalpazione andrebbe eseguita qualche giorno dopo la fine delle mestruazioni, quando il seno è meno gonfio e dolente. 

I passaggi sono due. Si inizia con l’osservazione davanti ad uno specchio per notare eventuali difetti, come una rientranza della pelle, un gonfiore, un’anomalia del capezzolo. Le braccia devono essere prima lungo i fianchi, poi poggiate sul bacino per contrarre i muscoli pettorali e infine portate in alto. Va osservata con cura anche la zona delle ascelle. 

In un secondo momento, si passa all’autopalpazione vera e propria. Per analizzare il seno destro, si deve piegare il braccio destro dietro la nuca e usare la mano sinistra. Le dita devono essere tese e i movimenti circolari in senso orario. La stessa operazione va fatta stando distese, in modo che il seno si appiattisca e sia più facile notare la presenza di eventuali “palline”. Un consiglio è quello di fare l’autopalpazione sotto la doccia perché la pelle bagnata consente di percepire meglio eventuali modificazioni dei tessuti. Infine, si deve spremere il capezzolo per verificare una eventuale fuoriuscita di secrezioni o sangue. Qualunque anomalia va segnalata al proprio medico.

La visita senologica 

Consiste nell’esame clinico del seno da parte di un medico specialista e nella raccolta dei dati anamnestici della paziente. Sapere se in famiglia ci sono stati casi di cancro, in modo particolare al seno, conoscere le abitudini della donna, se soffre di patologie e tutto il resto, è fondamentale per avere un quadro chiaro della situazione. 

Una visita senologica è raccomandata dopo i 40 anni d’età. Questo infatti è il periodo in cui aumenta l’incidenza di carcinoma mammario, ma è un’età ancora bassa per partecipare ai programmi di screening. Un check up completo prevede l’anamnesi, la visita al seno, l’ecografia e, se l’età lo consiglia o se ci sono particolari condizioni, la mammografia. 

Il medico specializzato in senologia palperà il seno alla ricerca di noduli, ma controllerà anche i linfonodi del collo e sopra le clavicole e i capezzoli. Poi passerà agli esami strumentali. 

L’ecografia mammaria 

L’ecografia al seno sfrutta le potenzialità degli ultrasuoni per visualizzare i tessuti interni ed eventuali anomalie. Ha dimostrato di essere molto utile per la diagnosi anche in mammelle particolarmente fibrose o ghiandolari. Talvolta viene accoppiata alla mammografia per avere la massima accuratezza. 

L’esame può essere eseguito in qualsiasi periodo del ciclo mestruale, è del tutto indolore e non richiede una particolare preparazione. Generalmente la paziente viene fatta sdraiare a pancia in su e poi lateralmente, così da analizzare il seno in ogni posizione. L’ecografia è adatta alle giovani donne dai 25-30 anni in poi. 

La mammografia 

Questa tecnica permette di individuare anche lesioni molto piccole attraverso un fascio di raggi X irradiato sulla mammella, sostenuta nel mammografo e leggermente schiacciata. Il seno sarà radiografato sia in senso verticale che orizzontale per avere una mappatura completa. La quantità di radiazioni non deve preoccupare: non è così elevata da creare problemi a chi si sottopone a questa procedura diagnostica. La mammografia non è dolorosa. Alcune donne possono trovare fastidioso lo schiacciamento del seno nel macchinario, ma è una sensazione limitata alla durata dell’esame.  

Dopo i 40 anni la mammografia viene raccomandata a tutte le donne, ma in particolare a coloro che hanno casi di tumore al seno in famiglia. In genere, si effettua ogni due anni, soprattutto dopo i 50 anni. I programmi di screening delle varie aziende sanitarie partono proprio da questa età (anche se, come accennato, in alcune aree del Paese si inizia anche prima). 

Presso il servizio di Radiologia della clinica Mya Salute è possibile effettuare una visita enologica, completa di ecografia mammaria e, quando previsto, di mammografia.